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La mitica Vespa PX 125 E “arcobaleno” è stato il mio mezzo di trasporto principale dai 16 ai 25 anni di età, accompagnandomi dal triennio del liceo fino alla laurea. Passatami dalle mani del fratello maggiore, mi ha accompagnato fedelmente senza appiedarmi mai.
La Vespa era inferiore ai 125 che al periodo erano il sogno di ogni sedicenne: stradali o enduro, Aprilia, Gilera, Honda o Cagiva erano bolidi che toccavano (da tachimetro) i 180 km/h e più. La Vespa si fermava, col vento in poppa ed una buona discesa, a 115 km/h, non un metro in più! Di contro, mentre i superbolidi erano frequentemente fermi per manutenzione ordinaria e straordinaria, la Vespe necessitava solo di un po’ di miscela (al 2% d’inverno fino al 3-4% d’estate). Aveva inoltre altri importanti vantaggi: la ruota di scorta per le forature ed un comodo vano porta oggetti ed era molto maneggevole, adatta sicuramente ad un uso urbano ma anche per fare la spola tra mare e città. Il passeggero viaggiava comodissimo e in caso di asfalto bagnato, non c’era rischio di bagnarsi i pantaloni, se non per una caduta (che erano piuttosto facili in condizioni di asfalto liscio o bagnato). I proprietari della Vespa di dividevano in 2 categorie principali: quelli che tenevano i cofanetti laterali, sforzandosi periodicamente di togliere gli inevitabili graffi con pasta abrasiva o con qualche capatina dal carrozziere e quelli che optavano per toglierli definitivamente lasciando in bella vista la ruota di scorta da una parte e una parte del motore dall’altra.

1989 - Piaggio "Vespa PX 125 E Arcobaleno"

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